Pagelle Tour de France 2021: Pogacar domina, Cavendish, Van Aert e Van Der Poel danno spettacolo – Ineos (tranne Carapaz) deludente

Tadej Pogacar (UAE Team Emirates)10 e lode: Domina, stradomina, vince e convince. Il suo Tour de France è praticamente perfetto e, se l’anno scorso il successo finale era arrivato soltanto all’ultima tappa, quest’anno si può godere la Maglia Gialla praticamente dall’inizio alla fine. Vince a cronometro, guadagna sulle Alpi e spadroneggia sui Pirenei, battendo gli avversari sia con il freddo che con il caldo, lasciando davvero pochissime speranze a tutti gli altri. La caduta di Roglic forse gli ha reso il compito più facile del previsto, ma appare comunque difficile pensare che avrebbe potuto perdere questa Grande Boucle. Emblematica l’azione dell’ottava tappa, quella che gli è valsa la Maglia Gialla, dove tra Col de la Romme e Col de la Colmbière, riprende i fuggitivi e li salta come birilli mettendo subito un solco enorme tra sé e gli altri uomini di classifica. Imbattibile.

Mark Cavendish (Deceuninck-QuickStep), 34: L’unico voto possibile per Cannonball è il numero di vittorie raggiunte con questo suo straordinario e inatteso Tour de France. Ad un passo dal ritiro lo scorso inverno, convince Patrick Lefevere a riprenderlo al minimo sindacale, ritrovando la gioia di correre e vincere. Un risultato che già prima del Tour era una piccola favola, ma che si trasforma in leggenda nel corso dell’estate, con una partecipazione che diventa rapidamente un successo, fino a fargli raggiungere il record assoluto di vittorie che sembrava ormai impossibile e aggiungere un’altra Maglia Verde alla sua strepitosa carriera.

Wout Van Aert (Jumbo-Visma), 9,5: Tour de France da fenomeno per il 26enne, che nelle prime giornate di gara non sembra in forma perfetta, ma poi si riscatta con gli interessi. Messo in ombra dal rivale Van Der Poel nella prima settimana, il campione belga inizia a risplendere nella seconda, dove conquista la prestigiosa tappa con la doppia scalata del Mont Ventoux. Lotta anche per la Maglia a Pois, ma è soprattutto nelle ultime due tappe che confeziona il capolavoro, andando a prendersi la cronometro finale e la frazione conclusiva sugli Champs-Élysées a Parigi, dimostrando ancora una volta di essere un campione e un corridore completo.

Jonas Vingegaard (Jumbo-Visma), 9,5: Probabilmente la sorpresa più bella di quest’edizione del Tour. Partito con i gradi di soldato semplice, probabilmente neanche nelle prime tre posizioni nelle gerarchie della sua stessa squadra, il danese finisce con il concludere secondo assoluto. Solido a cronometro, con due terzi posti nelle altrettante prove contro il tempo, in salita sfiora più volte il colpaccio, battendo Carapaz nella terza settimana e arrendendosi solo a un Pogacar oggettivamente troppo forte per lui. Gli è mancato giusto il successo di tappa, ma alzi la mano chi avrebbe anche solo immaginato di vederlo sul podio di Parigi già quest’anno. Dal 2022 i migliori dovranno fare i conti anche con lui.

Richard Carapaz (Ineos Grenadiers), 8,5: Dopo Giro, vinto nel 2019, e Vuelta, secondo nel 2020, l’ecuadoriano conquista il podio anche al Tour, confermandosi come uno dei migliori interpreti nelle corse da tre settimane. Non riesce a lasciare il segno vincendo una tappa in montagna perchè trova sulla sua strada un Pogacar dominante e un Vingegaard sorprendente a questi livelli. A parte un ottimo Jonathan Castroviejo (7,5), in salita non gode del supporto che avrebbe sperato da parte del suo team, sicuramente colpito dalla sfortuna ma anche meno reattivo del solito ad adattarsi ad una nuova situazione.

Mathieu van der Poel (Alpecin-Fenix), 8,5: Tante delle emozioni della prima settimana sono dovute a lui. La conquista della Maglia Gialla con dedica al nonno Raymond Poulidor è una delle immagini più toccanti della storia del Tour de France, mentre l’azione con cui va a prendersi quella tappa sul Mur de Bretagne dimostra il suo valore assoluto da corridore, anzi da fuoriclasse. Il nonno non era mai riuscito a indossare il simbolo del primato del Tour in carriera, mentre lui va oltre i suoi limiti, e fin qui (complice anche il ritiro prematuro) ha corso più tappe in maglia gialla che senza. Sempre con le insigne del primato si lancia in una fuga spettacolare, insieme ad altri fenomeni del ciclismo come Vincenzo Nibali e il suo eterno rivale Wout Van Aert, che infiamma i cuori degli appassionati, anche se poi non lo vedrà vincitore di tappa. Peccato per il ritiro alla fine della prima settimana, che però era stato ampiamente preannunciato, ma non è un caso che partito lui, la corsa diventi meno pirotecnica.

Ben O’Connor (Ag2r Citroën), 8: Uscito di classifica nella prima settimana, l’australiano sorprende tutti con una prestazione clamorosa nella tappa alpina verso Tignes, in cui culla anche il sogno della maglia gialla per quasi un’ora. Alla fine conquista il successo di tappa, sfiancando due scalatori puri come Higuita e Quintana, e balza in classifica generale, in cui riesce a rimanere nonostante lo scetticismo di molti. Se il podio non sembra ancora alla sua portata, il quarto posto è frutto di una grande costanza e soprattutto di una tenacia fuori dal comune, che gli permettono di non prendere distacchi pesanti in giornate in cui invece tanti rivali soffrono. L’exploit nella cronometro finale per proteggere il piazzamento ai piedi del podio conferma che può pensare di diventare un corridore da piazzamento costante nei Grand Tour.

Alexey Lutsenko (Astana-Premier Tech), 8: Tre settimane di grande diligenza e tenacia per il kazako, che rinuncia alla sua consueta aggressività per vivere un Tour de France in cui lo si vede obiettivamente molto meno, ma con un risultato di altissimo livello. Attento e pimpante sin dalle prime tappe, dopo la prima crono si trova in quinta posizione  e da allora resta sempre nelle posizioni alte, correndo con grande regolarità, difendendosi benissimo in salita fino a chiudere con un inatteso settimo posto finale.

Guillaume Martin (Cofidis), 8: Partito per andare a caccia di tappe, alla fine festeggia la sua prima top10 in carriera in un GT. Nelle prime due settimane prova, senza fortuna, delle azioni da lontano, poi nella tappa di Quillan, entra nella fuga di giornata e balza addirittura al secondo posto in classifica generale. Paga lo sforzo il giorno successivo ma resiste, anche nella crono finale, e arriva a Parigi in ottava posizione.

Matej Mohoric (Bahrain Victorious), 8: Un’altra gemma del ciclismo sloveno. Rimasto sempre all’ombra di due giganti come Roglic e Pogacar, il classe ’94 in questa edizione del Tour riesce a ritagliarsi alla grande il suo spazio, vincendo due tappe, per di più proprio con la maglia di campione sloveno addosso. Nell’anno in cui viene bandita la sua posizione in discesa, che era stata poi adottata praticamente da tutti i corridori, il ventiseienne non si scompone e vince una bellissima tappa con arrivo in discesa, che resta sempre la specialità della casa, mettendosi alle spalle gente come Van der Poel e Van Aert (ma non solo), che erano in fuga con lui. La seconda vittoria è invece di grinta, carattere e caparbietà, ma è soprattutto una risposta alle polemiche, alle accuse e ai sospetti e gli serve per mettere a tacere tutti quelli che hanno parlato senza sapere e per rivendicare un trattamento più umano.

Julian Alaphilippe (Deceuninck-QuickStep), 7,5: Con una splendida vittoria di tappa, ottenuta in maglia iridata, diventa la prima maglia gialla di questo Tour, rinvigorendo le speranze dei francesi, costretti da 36 anni a vedere gli altri festeggiare sui Campi Elisi. Il campione del mondo, però, esce ben presto di classifica, anche perché la gamba non sembra essere quella dei giorni migliori.  A quel punto c’è lo spazio per provarci da lontano e lui lo sfrutta, andando più volte all’attacco, ma alla fine trova sempre qualcuno più di forte di lui. In pieno spirito Wolfpack, però, anche lui dà il suo contributo nelle tappe per velocisti aiutando Mark Cavendish a raggiungere un record storico.

Pello Bilbao (Bahrain Victorious), 7,5: Dopo un Giro d’Italia corso splendidamente in supporto a Damiano Caruso, il corridore spagnolo conquista un’altra top ten in un Grande Giro. Meno brillante di altre volte a cronometro e in salita (anche per le fatiche della Corsa Rosa), il 31enne sopperisce con la consueta combattività e con una buona regolarità che, anche se non gli permettono di vincere una tappa come altri suoi compagni di squadra, gli permettono di ottenere il primo piazzamento nei dieci della sua carriera alla Grande Boucle.

Franck Bonnamour (B&B Hotels p/b KTM), 7,5: 900 chilometri e oltre 21 ore in fuga, alla sua prima partecipazione il giovane corridore transalpino si mette in mostra con grande coraggio e costanza. Una corsa di grande generosità, che lo vede spesso protagonista anche in salita, riuscendo così a chiudere con un discreto piazzamento finale e con il premio di supercombattivo.

Dylan Teuns (Bahrain-Victorious), 7,5: All’attacco in più di un’occasione, il 29enne trova la giornata perfetta sulle Alpi, a Le Grand-Bornand, dove risponde al compagno di squadra Mohoric (vincitore il giorno precedente) e dove conquista la sua seconda vittoria al Tour dopo quella ottenuta due anni fa. Alla fine, riesce anche a chiudere la corsa nei primi venti, riuscendo in un paio di occasioni a restare con i migliori quasi sino alla fine.

Mattia Cattaneo (Deceunink-QuickStep), 7: Un Tour de France di alto livello per l’ex promessa azzurra, che si dimostra solido a cronometro e in salita. Nella continuità soffre alcuni giorni, ma resta nelle posizioni di vertice lottando fino alla fine con grande dedizione per un piazzamento nei dieci e una vittoria di tappa, alla quale si avvicina più volte.

Sonny Colbrelli (Bahrain Victorious), 7: Ci prova sul Mur-deBretagne, ci prova in volata, ma alla fine i risultati migliori li ottiene entrando in fuga, dove conquista due podi. Il campione italiano mette in mostra la maglia tricolore come meglio non può in queste tre settimane, lottando anche a tutti gli sprint intermedi per i punti della Maglia Verde (classifica che lo vedrà chiudere al terzo posto), ma alla fine purtroppo non arriva un successo che sarebbe stato sicuramente meritato.

David Gaudu (Groupama-FDJ), 7: Parte piuttosto bene, poi cadute, vento e crono lo fanno rimbalzare indietro, facendo pensare ad un Tour ben diverso. Ancora una volta si riprende con il passare dei giorni, dimostrandosi tra i migliori in salita nell’ultima settimana, fallendo (anche per una condotta di gara aggressiva e non attendista) di poco la rimonta e l’ingresso nella Top10 a cui inizialmente puntava.

Wilco Kelderman (Bora-hansgrohe), 7: Dopo il terzo posto al Giro 2020 conferma che le sfortune del passato sono alle spalle. Regolarista di grande costanza, non impressiona e sembra calare nuovamente in terza settimana, ma decisamente meno di altri, riuscendo così anche a risalire posizioni per chiudere con una quinta posizione tutt’altro che banale.

Patrick Konrad (Bora-hansgrohe), 7: All’attacco in più di un’occasione, il campione austriaco ottiene un settimo posto nella settima tappa, si avvicina al successo nella quattordicesima, dove viene anticipato solo da Mollema, e alla fine conquista la vittoria più importante  della sua carriera nella sedicesima frazione dopo essere andato ancora una volta in fuga da lontano, regalando una seconda gioia alla sua squadra dopo quella data da Politt.

Sepp Kuss (Jumbo-Visma), 7: Una vittoria che vale tre settimane. Il corridore statunitense parte come sempre come angelo custode in salita di Roglic (come accaduto negli ultimi tre GT disputati dallo sloveno), ma va subito in difficoltà e nemmeno l’uscita di scena del capitano, che dovrebbe in teoria offrirgli più liberta, diventa un aiuto per vederlo protagonista. Tutto si ribalta però nel corso della quindicesima tappa, quando riesce a centrare la fuga giusta e nel percorso verso Andorra La Vella si lancia verso il successo di tappa, tenendo anche a debita distanza Alejandro Valverde nella discesa conclusiva. Dopo quella tappa lo si rivede nell’ultima frazione pirenaica a fare il ritmo per Vingegaard negli ultimi chilometri dell’ascesa conclusiva, mostrandosi ancora una volta affidabile gregario. Dopo la vittoria più importante della sua carriera, ora lo attende la Vuelta.

Michael Matthews (Team BikeExchange), 7: Non ci fosse stato lui, Cavendish avrebbe avuto vita facile nella battaglia per la classifica a punti. Meno velocista di un tempo (ma qualche piazzamento in volata lo ottiene comunque), l’australiano ottiene un eccellente secondo posto nell’insidiosa frazione d’apertura, dove Alaphilippe anticipa tutti quanti, e poi lotta quasi ogni giorno per i punti per la Maglia Verde. Come Colbrelli, anche lui si lancia in qualche attacco da lontano, ma alla fine come miglior risultato arriva un terzo posto, anche se probabilmente anche lui come l’italiano avrebbe meritato di più per la combattività dimostrata.

Tim Merlier (Alpecin-Fenix), 7: Come accaduto anche al Giro d’Italia, il velocista belga conquista il primo arrivo in volata (sebbene in una tappa, la terza, condizionata da molte cadute nel finale), poi si mette al servizio del compagno di squadra Jasper Philipsen nel tentativo di aiutarlo a ottenere un successo, non partecipando dunque più agli sprint. Come Van der Poel, il 28enne abbandona al termine della prima settimana, replicando in sostanza quanto fatto alla Corsa Rosa a maggio, nuovamente con tanta sfortuna.

Bauke Mollema (Trek-Segafredo), 7: Come spesso accaduto nella sua carriera, si fa trovare pronto al momento giusto. Il neerlandese passa buona parte del Tour a cercare di entrare nelle fughe, riuscendoci e correndo con grande determinazione. Il fiore all’occhiello è chiaramente la quindicesima tappa, quando riesce a inserirsi nell’azione buona e azzecca perfettamente i tempi in cui muoversi mostrando a tutti una cavalcata solitaria delle sue, come quelle che gli erano già valse un successo alla Grande Boucle e uno al Lombardia. Il neerlandese è così l’uomo di punta di una squadra capace di mettersi in mostra anche con le belle azioni di Kenny Elissonde (7) e Julien Bernard (7), pronti correre e sacrificarsi per i propri capitani.

Jasper Philipsen (Alpecin-Fenix), 7: Alla fine il successo non arriva, ma sono ben sei i piazzamenti sul podio che ottiene il velocista belga durante le tre settimane. Ben supportato da un’ottima squadra, il 23enne viene battuto sempre da un Cavendish che, come gamba, è vicino a quello dei giorni migliori, dunque non c’è neanche molto su cui recriminare. Nei prossimi anni bisognerà sicuramente fare i conti anche con lui in volata.

Wout Poels (Bahrain Victorious), 7: A lungo in maglia a pois, nel finale deve arrendersi allo strapotere di Tadej Pogacar in salita, con la Maglia Gialla che anche quest’anno vince senza volerlo una terza classifica. Forse avrebbe potuto gestirla meglio nelle ultime giornate, ma d’altro canto senza lo straripante sloveno la sua missione sarebbe stata compiuta.

Nils Politt (Bora-Hansgrohe), 7: Bloccato per i primi dieci giorni al servizio di Sagan, sfrutta bene la sua prima occasione di libertà. Sfruttando una fuga si impone infatti nella dodicesima tappa, rendendo automaticamente più che sufficiente il suo Tour de France. Dopo quella tappa resta per lo più nell’anonimato, provandoci soltanto un’altra volta ma senza riuscire a replicare il risultato, ottenendo comunque un buon quinto posto.

Enric Mas (Movistar), 6,5: Un passo indietro per lo spagnolo, che si ritrova velocemente capitano unico della Movistar visto che Miguel Angel Lopez (sv) viene rallentato da cadute iniziali che condizionano gran parte del gruppo. In salita si conferma tra i migliori, ma un paio di passaggi a vuoto lo costringono ad uscire malamente dalla lotta per il podio e poi per cercare di ripetere quantomeno il bel piazzamento dello scorso anno. Per fare il salto di qualità deve trovare continuità.

Alejandro Valverde (Movistar), 6,5: Non si vede molto, ma quando trova la giornata e l’occasione giusta va comunque molto vicino ad un successo storico. Il 41enne spagnolo si sacrifica spesso per i compagni, mettendo in cascina molto lavoro prezioso in vista dei Giochi di Tokyo.

Michael Woods (Israel Start-Up Nation), 6,5: Arrivato con ambizioni di classifica, una caduta lo taglia fuori sin dal primo giorno e si trova a doversi reinventare, oltre che a doversi riprendere. È così tra i corridori più generosi di questa edizione quando la strada sale, facendo della maglia a pois il suo obiettivo, ma la buona volontà non basta e deve arrendersi, chiudendo con le tasche vuote, ma comunque con tanto lavoro in vista di Tokyo.

Daniel Martin (Israel Start-Up Nation), 6: Conclude il suo quarto GT in dieci mesi e basta questo a dargli la sufficienza. Non sorprende dunque che l’accumulo di stanchezza non gli permetta di emergere come avrebbe voluto. Ci prova comunque spesso, con la sua consueta grinta, riuscendo a cogliere un paio di piazzamenti.

Louis Meintjes (Intermarché-Wanty-Gobert), 6: Dopo i disastri delle ultime stagioni, corre in modo ordinato per chiudere con un piazzamento che non è all’altezza del suo passato, ma resta dignitoso e importante per la sua squadra, per quanto chiuda comunque molto lontano dai migliori.

Rigoberto Uran (EF Education-Nippo), 6: Fino a prima degli ultimi due arrivi in salita sui Pirenei era una delle sorprese più belle di questo Tour. In mezzo a tutta questa gioventù, a 34 anni, sembrava potesse salire nuovamente sul podio di Parigi, come già fatto nel 2017 (secondo alle spalle di Chris Froome). Purtroppo ha pagato a caro prezzo le asperità pirenaiche, dovendosi così accontentare di un decimo posto che non aggiunge molto alla sua carriera, ma che ne fa comunque il migliore della sua generazione.

Sergio Higuita (EF Education – Nippo), 5,5: Brillante nelle prime due tappe, il 23enne colombiano cerca poi soprattutto di inserirsi negli attacchi da lontano e di lavorare per il capitano Uran. Diverse volte in fuga, si lascia sfuggire il successo a Quillan, dove è anticipato da Mollema, e per il resto non sempre riesce a supportare al meglio il suo leader. Non abbastanza, quindi, per ottenere la sufficienza.

Vincenzo Nibali (Trek-Segafredo), 5,5: Arrivato al Tour de France con la dichiarata ambizione di trovare la forma in vista di Tokyo e senza obiettivi di alcun tipo dopo le sfortune della prima parte di stagione, corre due settimane di grande impegno prima del ritiro programmato. Trova due buone fughe in cui ci mette tutto sé stesso, correndo con coraggio e riuscendo anche provvisoriamente a rientrare in classifica in una occasione, ma la sua condizione era ancora ben lontana da quella che gli conosciamo e chiude entrambe le volte fuori dai primi dieci. In sostanza, tanto lavoro: ora bisogna aspettare ancora una settimana per capire se avrà dato i suoi frutti.

Pierre Rolland (B&B Hotels p/b KTM), 5,5: Ci prova in diverse occasioni, inserendosi nelle fughe, ma le gambe non sono più quelle di una volta e si vede.

Christophe Laporte (Cofidis), 5: In volata non lo si vede quasi mai, ma del resto negli ultimi tempi il 28enne è diventato meno velocista e più corridore da classiche, dunque era anche lecito che non ottenesse risultati allo sprint. Ci si poteva invece aspettare che provasse a inserirsi nelle fughe da lontano nelle giornate più adatte a lui, ma ciò avviene solo all’ultima tappa utile, ovvero la 19, dove nel finale si lascia sfuggire Mohoric e dove ottiene un secondo posto che non può certamente soddisfarlo.

Mads Pedersen (Trek-Segafredo), 5: Ci prova, ma non riesce a dire la sua né in volata né con azioni dalla distanza. Se l’ex iridato si conferma corridore di grande generosità e coraggio, non basta a salvare il bilancio in una corsa che offriva molte buone occasioni per le sue caratteristiche.

Nairo Quintana (Arkéa-Samsic), 5: D’accordo, si presentava alla partenza di questo Tour con una preparazione non ottimale e qualche problema fisico. Ma questo non può bastare per giustificare una prestazione decisamente lontana dalle aspettative: partito con l’ambizione di prendere la maglia a pois e almeno un successo di tappa, il colombiano si rende presto conto di non essere tra i più brillanti in salita. Se la gamba non lo segue, prova a supplire di testa, ma non riesce ad attuare le strategie adatte. Troppo spesso all’attacco troppo presto, a volte invece si intestardisce in inseguimenti senza un senso logico. Il suo sogno giallo si è già tramutato in sogno a pois, con lo stesso esito. Ma di ridimensionamento in ridimensionamento, il vero Quintana non si rivede ancora.

Greg Van Avermaet (Ag2r Citroën Team), Philippe Gilbert (Lotto Soudal), Thomas De Gendt, (Lotto Soudal), André Greipel (Israel Start-Up Nation), 5: Tra gli uomini faro della loro generazione, ognuno con le sue caratteristiche e ambizioni, vivono un Tour senza grandi spunti, senza riuscire a farsi notare granché, probabilmente simboli di un ricambio generazionale che ormai sembra sempre più inevitabile.

Ineos Grenadiers, 5: Se non fosse per Richard Carapaz che tiene alta la bandiera quasi da solo, la formazione britannica vive un altro Tour molto difficile, ben lontano dai fasti del decennio scorso. Complici le cadute, Geraint Thomas è rapidamente fuori dai giochi, così come Richie Porte e Tao Geoghegan Hart e nessuno dei tre riesce più a riprendersi e dare un contributo significativo alla causa del proprio capitano, se non in sporadiche apparizioni, lasciando che Michal Kwiatwkoski e Dylan Van Baarle si trovino a lavorare

Jakob Fuglsang (Astana-PremierTech), 4,5: Arriva alla Grande Boucle dopo un bel Giro di Svizzera, che fa ben sperare, ma poi vive tre settimane in anonimato assoluto, senza mai riuscire a lasciare il segno in alcun modo. Tre settimane di grande sofferenza, concluse con un giorno di anticipo e i timori che il suo corpo abbia reagito male al vaccino, che si aspettava ben diverse in preparazione ai Giochi di Tokyo.

Chris Froome (Israel Start-Up Nation), 4: La testa e il cuore ci sono, non si può negare. Ma non si può negare che chiaramente non bastano, con il Keniano Bianco che vive un Tour de France di grande sofferenza, sempre lontanissimo dai migliori, spesso tra i primi a staccarsi e chiudendo con un 72° posto come miglior piazzamento parziale per un 134° posto finale molto eloquente. Una pietra tombale sulle sue speranze di tornare al suo livello, o uno step necessario per poterci tornare? Solo lui conosce la risposta.

Team DSM e Qhubeka NextHash, 4: Sono le due formazioni più deludenti di questo Tour. Al netto di qualche sfortuna (che, comunque, hanno avuto quasi tutte le squadre), raccolgono giusto qualche piazzamento nella top ten, ma poco altro. La corsa della formazione tedesca, in particolare, risulta ancor più insoddisfacente se paragonata con quella dello scorso anno, quando conquistarono ben tre tappe e si misero in luce in molte giornate.

Warren Barguil (Arkéa-Samsic), sv: Tour de France abbastanza anonimo quello dell’ex campione francese, che non riesce a essere protagonista nella sua Bretagna (anche a causa delle cadute) e che, sempre per una caduta, è costretto ad abbandonare la corsa dopo la tredicesima frazione.

Nacer Bouhanni (Arkéa-Samsic), sv: Tra i velocisti migliori nella prima settimana, durante la quale sfiora il successo in un paio di occasioni, il suo sogno di vincere finalmente una tappa al Tour si infrange per una caduta nella tappa 13. Cerca stoicamente di resistere per un’altra giornata e mezza, ma alla fine è costretto ad alzare bandiera bianca.

Bryan Coquard (B&B Hotels p/b KTM), sv: Cade nel primo arrivo allo sprint e, nelle giornate successive, le botte prese si fanno sentire. Nonostante cerchi di resistere, alla fine finisce fuori tempo massimo a Tignes insieme a Demare.

Arnaud Démare (Groupama-FDJ), sv: Anche lui rimane vittima di una caduta durante la (maledetta) terza tappa dove, oltre alla sfortuna, paga una posizione troppo arretrata all’interno del gruppo in una fase calda di corsa. Certamente le botte prese lo condizionano anche negli arrivi, a lui potenzialmente adatti, dei giorni successivi. Finisce fuori tempo massimo sul traguardo di Tignes e il suo Tour si chiude, mestamente, al termine della prima settimana.

Caleb Ewan (Lotto Soudal), sv:  Il suo Tour finisce dopo la terza tappa. Una caduta in volata gli costa la frattura della clavicola e l’addio ai sogni di gloria (e all’obiettivo stagionale di vincere almeno una tappa per Grande Giro). La speranza è di rivederlo subito in forma alla Vuelta.

Jack Haig (Bahrain-Victorious), sv: Inizia benissimo il Tour de France con due piazzamenti nella top ten; purtroppo finisce anche prestissimo la sua corsa, che termina malamente in una delle tante cadute del finale della terza frazione.

Lucas Hamilton (Team BikeExchange), sv: Cade e si ritira nella stessa giornata in cui lo stesso accade al compagno di squadra Yates. Il suo Tour, dove partiva con i gradi di capitano, era però stato abbastanza deludente fino a quel momento.

Steven Kruijswijk (Jumbo-Visma), sv: Abbastanza lontano dalla sua forma migliore sin dalle prime giornate, il neerlandese prova a supportare come può il compagno di squadra Vingegaard, ma è costretto ad abbandonare all’inizio della terza settimana dopo non essersi sentito bene durante il secondo giorno di riposo.

Primoz Roglic (Jumbo-Visma), sv: Corsa ingiudicabile. Nei primi due giorni si fa sempre trovare pronto davanti, rispondendo anche alle sollecitazioni di Pogacar quando serve. Poi la caduta nella terza tappa gli toglie immediatamente un minuto e mezzo in classifica generale e, come diventa presto chiaro, la possibilità di lottare concretamente anche solo per rimanere in classifica o per un successo di tappa. Abbandona anzi tempo nella speranza di ritrovare la forma giusta per Tokyo. Non sarà facile.

Peter Sagan (Bora-Hansgrohe), sv: La sua Grande Boucle dura un po’ di più di quello di Caleb Ewan, ma di fatto finisce insieme a quello dell’australiano. Colpito in caduta dal velocista della Lotto Soudal, lo slovacco prova con tenacia ad andare avanti, ma alla fine il dolore è troppo e il giorno dopo la doppia scalata del Mont Ventoux dice addio alla corsa per prepararsi a un’operazione al ginocchio, che gli impedirà anche di essere a Tokyo.

Marc Soler (Movistar), sv: Non smette di essere tormentato dalla sfortuna il 27enne spagnolo, che dopo aver dovuto abbandonare il Giro d’Italia per una caduta è costretto al ritiro anche nella prima tappa della Grande Boucle, pure lui vittima della famigerata tifosa con il cartello.

Simon Yates (Team BikeExchange), sv: Al Tour per preparare le Olimpiadi di Tokyo, il britannico si mette in mostra con qualche attacco da lontano, chiudendo sesto a Le Grand-Bornand. Non brillante sulle Alpi, non riesce ad arrivare sui Pirenei, dato che cade e si ritira nella tredicesima tappa.

Tim Declercq (Deceuninck-QuickStep), 10: Termina il Tour al 141esimo e ultimo posto a più di cinque ore da Pogacar: un risultato che non riflette assolutamente (come spesso accade ai gregari, ai faticatori e a coloro che in generale si sacrificano per gli altri) quello che è stato tutto il duro lavoro fatto in queste tre settimane dal 32enne belga. Passa buona parte della corsa in testa al gruppo a prendere vento per tenere sotto controllo le fughe nelle tappe adatte al compagno di squadra Cavendish, mentre nelle frazioni di montagna è sempre accanto al britannico per aiutarlo a non finire fuori tempo massimo. E tutto questo anche dopo una caduta (nella tappa 13) e un’ultima settimana un po’ acciaccato. È l’emblema del vero gregario, e il suo voto si può estendere anche agli altri compagni di squadra della Deceuninck-QuickStep non citati in questo articolo (Michael Morkov su tutti) e, in generale, a tutti i gregari che fanno un lavoro spesso oscuro, ma assolutamente fondamentale per i successi dei loro capitani.

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